mercoledì 22 aprile 2009

Dal sessantotto ad oggi: La guerra dei figli

“La foto è bella, un po’ Degas, un po’ “beati anni del castigo”. Ti presento La guerra dei figli. Come se fosse una persona. E poi parli tu e provi a offrire la ricostruzione di un percorso… ma nemmeno tu lo sai bene, come si è composta la storia che riempie quelle trecento pagine. Magari lo scopri lì, parlandone”.
Lidia Ravera ieri ha presentato a Roma il suo nuovo romanzo La guerra dei figli.

Siamo nel 1967, anno di fermenti e insofferenze, e Maria ha deciso: se ne andrà di casa, abbandonando le certezze ma anche il soffocante interno piccoloborghese dove è cresciuta. Sua sorella Emma invece ha tredici anni, è di un paio d'anni più giovane. Maria è la sua amica, il suo modello, e le è permesso di uscire di casa solo con lei.


Inizia così li nuovo romanzo di Lidia Ravera intitolato proprio La guerra dei figli, edito da Garzanti e in libreria da pochi giorni. Vent’anni di storia italiana raccontati all’interno di una storia privata, la storia di Maria e la sua guerra dichiarata al mondo dei padri. Il mondo visto da una ragazzina e raccontato da una donna, il suo desiderio di restare sempre figlia. Non c’è spazio per la retorica, si rivivono il 68, gli anni settanta, e le esperienze di quelli anni passati senza riscrivere niente, distillando il tutto nella storia di due ragazze dai caratteri diversi che affrontano il mondo su due corsie.

«Vorrebbe abbracciarla ma non può. Alla nuova vita è sotteso un regolamento non scritto cui si attiene scrupolosamente. Elaborare i sentimenti, disporli come i fiori nelle aiuole, in un ordine artificiale, prima la rabbia, poi l’amore».
Maria, diciassettenne torinese, al terzo anno di liceo, vorrebbe, ma non può abbracciare Emma. Non le è concesso, perché le regole tacite della comune in cui Maria è andata a vivere dopo essere scappata di casa, sanciscono l’assoluta subalternità dei sentimenti e delle dimostrazioni d’affetto rispetto all’obiettivo primario della militanza comunista: l’abolizione della società borghese. Il conflitto, la guerra che si dichiara è una guerra vera, armata, nella logica delle classi rientra una sorella a cui viene negato un abbraccio.

Dalla liberazione sessuale al terrorismo, la storia di quegli anni è trascritta senza il senno del poi, la scelta «stilistica» è quella di raccontare il passato come se fosse il presente. Il risultato è un romanzo duro e toccante.

(fonti:roma.corriere.it)


Lidia Ravera
Lidia Ravera è nata a Torino e vive a Roma. Raggiunge una grande notorietà con il romanzo Porci con le ali, scritto a quattro mani con Marco Lombardo Radice, un affresco della generazione del sessantotto, rappresentata attraverso la storia d’amore tra due adolescenti Rocco e Atonia.
"A sette anni, alla scuola elementare Manzoni, registro il mio primo successo letterario. La maestra appende il “pensierino” alla parete, in corridoio. Le bambine delle altre classi vanno a leggerlo.
Una quindicina d’anni dopo arriva “Porci con le ali” di cui tutti sanno tutto: due milioni e mezzo di copie vendute in 30 anni. Traduzioni estere, polemiche a non finire, etichette. Un successo non cercato, non goduto, male assorbito. Comunque ininfluente. Le sicurezze si formano prima, se si formano. Valeva di più il pensierino appeso al muro. Ma chi se lo ricorda.
Scrivo da quando ho memoria, scrivo per mantenerla, la memoria, l’attenzione, qualcosa di vigile. Scrivo per sorvegliare lo svolgimento della vita. La mia, quella degli altri. Se non scrivessi sarebbe un bel guaio".


(fonti:www.lidiaravera.it)

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